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E lasciami...Gridare!!

Categoria: Educare
rabbia

Molti bambini scelgono di affrontare da soli le emozioni più dolorose (“autocontenimento” -  Winnicott, psicoanalista inglese) convinti che chiedere aiuto aumenterebbe il proprio malessere o peggio li esporrebbe nuovamente al rischio di un rifiuto. Reprimono i propri sentimenti dolorosi che continuano a crescere e ad alimentarsi dentro di sé: da soli non sono in grado di gestire questo groviglio interno e dunque lanciano all’esterno “segnali” volti a individuarne la presenza.

Manifestano ansia e preoccupazione, eccessi di ira, disordini nel comportamento alimentare, disturbi del sonno, fobie, ossessioni, comportamenti fuori controllo, disturbi dell’apprendimento, scarse capacità di autocontrollo e autoregolazione, ecc.  L’esperienza di autocontenimento determina l’allontanamento da qualsiasi esperienza positiva della vita: se il dolore interno è troppo forte, non sono in grado di godere delle cose buone e belle del mondo esterno, e non c’è spazio per alcun tipo di apprendimento, tanto alta è la pressione.  Spesso questi bambini non hanno vissuto la presenza di un adulto significativo in grado di contenerli e di comprenderli: hanno ricevuto risposte inadeguate, sbrigative o incoerenti

Spesso la rabbia che i bambini esprimono viene considerata come un sentimento sconveniente, da non provare né tantomeno esprimere: ma come possiamo impedire a noi stessi di arrabbiarci? E come possiamo pretendere lo stesso dai nostri bambini? Sovente diciamo loro di smettere, quasi a volerli educare che non va bene nutrire emozioni difficili e dolorose.
Dinanzi a risposte reiterate inadeguate (“Smettila! “, “Vergognati! “, reazioni di indifferenza, sminuire, mortificare, ecc.) il bambino svilupperà la convinzione che non va bene manifestare le proprie emozioni negative (negative?), ciò lo esporrebbe nuovamente  al rischio di ricevere incomprensione, rifiuto e solitudine: da qui la decisione di autocontenersi e di continuare a reprimerle. L’emotività arriva dunque a lasciare spazio al pensiero, al razionale, quale strumento più sicuro con cui affrontare le emozioni troppo forti. 
Il bambino sopraffatto dal dolore ha bisogno di poter scaricare questo peso che porta dentro di sé: attua comportamenti antisociali, si rifugia nella televisione o nei videogiochi, attua comportamenti distruttivi verso sé o gli altri che lo “aiutano” a “lenire” questa sofferenza, “butta fuori” parte di ciò che ha dentro. Non riescono a condividere ciò che provano, ma non possono evitare di comunicare ciò che hanno dentro: “Le nostre emozioni più intense sono reazioni involontarie: non possiamo decidere quando farle irrompere”(Goleman, psicologo statunitense). 

L’aiuto verso questi bambini può esprimersi attraverso un ascolto e una comprensione autentici, oltre che mediante una capacità empatica in grado di facilitare quella “sintonizzazione emotiva” che permette di stabilire un contatto e dunque di entrare in relazione. Se il bambino riesce ad arrivare a sperimentare un senso di sicurezza, riuscirà allo stesso tempo a provare fiducia e dunque riuscirà a lasciarsi andare. Possono liberarsi attraverso il pianto, le grida o altri comportamenti  e questo li aiuta a prendere gradualmente consapevolezza della situazione di sollievo che in questo modo arrivano a sperimentare. Si accorgono inoltre che la paura di essere sopraffatti dal proprio dolore non si è realizzata, lasciarsi andare non ha danneggiato e distrutto  nessuno. Anche questo rappresenta un sollievo.

Dott.ssa Stefania Giuliani, pedagogista


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