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Uscire dal circuito della violenza: l’esperienza dei Centri antiviolenza come opportunità per la donna

Il 25 novembre ricorre la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne.
Una donna su quattro subisce, nel corso della propria vita, maltrattamenti e/o abusi da parte del partner (OMS).
Il primo rapporto mondiale dell’OMS sui dati della violenza afferma che il 35% delle donne subisce durante la propria vita una qualche forma di violenza, fisica o sessuale: la violenza domestica perpetrata dal partner è la forma più comune (30%).

La violenza è la prima causa di morte ed invalidità per donne di età compresa tra i 15 e i 44 anni (rapporto Harward University per ONU).
La definizione ONU di violenza contro le donne la identifica come “qualunque atto di violenza in base al sesso o la minaccia di tali atti, che produca, o possa produrre, danni e sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche, coercizione o privazione arbitraria della libertà sia nella vita pubblica che privata”.
La violenza ha l’obiettivo di mantenere il potere e il controllo sulla vittima: il maltrattatore attraverso l’umiliazione e i comportamenti violenti suscita nella vittima una condizione di paura, per mezzo della quale legittima la propria supremazia e il proprio prevaricare. La donna è considerata come un oggetto da possedere, come parte di sé: il maltrattatore teme costantemente di perdere l’oggetto e di essere abbandonato.

Col termine violenza si fa riferimento a vari tipi azione volte ad annientare la vittima: violenza fisica (picchiare, afferrare, trascinare, segregare, lanciare addosso oggetti, ecc.), violenza psicologica (umiliazioni, insulti, intimidazioni, minacce, colpevolizzare, strumentalizzare i figli, ecc.), violenza economica (ostacolare nella ricerca e nel mantenimento di un impiego, costringere a chiedere denaro, estromettere dal reddito familiare, requisire il suo denaro, ecc.), violenza sessuale ( costringere la donna ad  avere rapporti, stuprare la donna dopo le violenze fisiche o davanti ai figli, costringere la donna a fare foto pornografiche o a prostituirsi, ecc.), violenza spirituale (ridicolizzare il suo credo religioso, costringere la donna a comportamenti contrari ai suoi principi, non permettere alla donna il rispetto di alcune pratiche religiose prescritte, ecc.).

Dinanzi a questi dati allarmanti e di fronte a una chiarificazione del concetto e delle varie forme di violenza, molti di noi si domandano per quale ragione è così difficile per una donna uscire dal circuito della violenza.
Tra le ragioni prevalenti: non essere economicamente autosufficienti (dipendenza dal partner), presenza di figli piccoli (paura per la propria e loro incolumità), mancanza di sostegno esterno (pressioni da parte della famiglia e del gruppo), dipendenza psicologica dal partner, paura della solitudine (isolamento sociale).
Il percorso della donna di uscita dalla violenza è un cammino lungo e difficoltoso, mai lineare, che necessita di sostegno e accompagnamento continui.

Il C.A.DO.M. (Centro Aiuto Donne Maltrattate) è un’associazione di volontariato formata da donne che opera a Monza e sul territorio della Brianza dal 1994 allo scopo di prevenire e contrastare ogni forma di violenza contro le donne (www.cadom.it).

Che cos’è un Centro Antiviolenza?

E’ uno spazio formato esclusivamente da donne che volontariamente hanno deciso porsi al fianco di altre donne in difficoltà. Le volontarie, adeguatamente formate, offrono aiuto e sostegno alle donne che si rivolgono al Centro durante l’intero percorso di uscita dalla violenza. La metodologia utilizzata è quella dell’accoglienza. Al centro della relazione di aiuto vi è il riconoscimento del valore dell’essere donna e della forza propria della relazione tra donne. La donna in difficoltà si colloca al centro del suo percorso, è soggetto attivo all’interno del processo, lungo e doloroso, che determinerà l’eventuale uscita dalla violenza. La valorizzazione delle risorse interne e il supporto offerto nel riconoscimento e nell’utilizzo delle risorse esterne, sono alla base della relazione di aiuto.  L’accoglienza, l’ascolto non giudicante, la garanzia di segretezza e anonimato, facilitano l’incontro autentico con la donna e la sua storia.
Operativamente i Centri antiviolenza offrono:
- accoglienza telefonica per ricevere le prime richieste di aiuto;
- colloqui di accoglienza per riuscire a comprendere la situazione da cui partire, ri-partire, insieme alla donna, per la definizione e realizzazione di un progetto in grado di portarla gradualmente fuori dalla situazione di disagio;
- consulenza specialistica, di tipo psicologico e legale, e percorsi specifici di auto-aiuto, a sostegno e integrazione del percorso intrapreso.

Un Centro antiviolenza non ha la connotazione propria di un servizio pubblico di intervento (sanitario, assistenziale, sociale, giudiziario), e nemmeno si riempie solo di saperi professionali. E’ un luogo dove si concretizzano in azioni valori legati alla solidarietà femminile, attraverso la realizzazione di percorsi e interventi autentici di uscita dal disagio e di promozione del benessere individuale, il tutto nel rispetto e tramite la valorizzazione della storia personale della donna, dei suoi tempi e delle sue personali risorse.

Dott.ssa Stefania Giuliani, pedagogista


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